Tonino Maurizi / Recensioni / Prof Del gobbo

Prof Del gobbo

Si potrebbe affermare, paradossalmente, che la ricerca artistica di Tonino Maurizi, lo sopravanzi scavalcandolo in età. Perché si aggancia e prende carattere da una storia che quando vi si è trovato coinvolto, era in atto e aveva già una consistenza a cui egli ha potuto attingere. È la storia della Scuola d’Arte di Macerata, che proprio in quel periodo diventò “Istituto”, e successivamente, com’è oggi ,“Liceo artistico” . Egli si iscrisse ai suoi corsi negli anni Cinquanta, quando, oltre che nel nome e nello statuto, la Scuola stava subendo una significativa conversione verso una qualificazione artistica; l’arte, dai “mestieri” cui era soprattutto orientata in precedenza, veniva studiata e praticata a sé, solo con qualche attinenza con tecniche e discipline ad essa funzionali. Erano gli anni in cui si rinnovava significativamente il corpo insegnante, con l’avvento di personaggi che ne determinarono un cambiamento radicale verso il nuovo. Vogliamo fare qualche nome? Zoren (Renzo Ghiozzi), Marone Marcelletti, Vincenzo Monti, Nino Ricci, Tonino Ferrajoli, Paolo Magri Tilli, e di lì a poco, Umberto Peschi. Perché, ricordiamo questa storia apprestandoci a una riflessione sull’opera di Tonino Maurizi, menzionando nomi che potrebbero risultare sconosciuti ad alcuni, e in parte colpevolmente dimenticati? Perché fu in quegli anni e attraverso l’incontro con quelle importanti personalità che Tonino ebbe l’opportunità di verificare vocazione e orientamenti artistici, nel mentre l’intento della sua famiglia, e forse inizialmente anche suo, era di avviarsi a un’attività imprenditoriale che se aveva qualche attinenza con l’arte non le si concedeva in senso pieno. Fu lì che nacque la sua passione “figurativa”, che, seppure incognita ai più, è proseguita senza flessioni, anzi incentivandosi, nel tempo. È la stessa di cui oggi scopriamo gli esiti, attraverso una mostra necessariamente sintetica, ordinata “per assaggi”, ma ugualmente esemplificativa di un iter articolato in generi e periodi.
Il disegno, seguito ed appreso come a scuola le mani esperte del professor Guglielmo Ciarlantini, artista oltre che docente, ne davano dimostrazione, è servito di base a tutta la ricerca di Maurizi. Ed era già questo un dogma di fede artistica impartito nella Scuola! Con esso spontaneità e metodo progettuale si sono poi sviluppati di pari passo nell’opera del nostro, in un confronto dialettico che risulterà caratteristico anche della sua pittura: contrapposizione e dialogo costituiranno in permanenza un fermento efficace nel corso della ricerca. Dipinti spatolati a bande, di un cromatismo leggero e trasparente; fughe prospettiche alludenti al paesaggio, ma anche, spesso, uniformate ad una logica costruttiva d’impostazione ortogonale, vi si avvicendano. In alcuni casi lasciando spazio a superfici informali e materiche segnate da evidente gestualità. Che cosa altro traspare in tutto ciò dell’antico insegnamento? Essenzialmente, l’importanza e il desiderio della modernità. Una visione profetica in tal senso Maurizi l’aveva acquisita da Zoren; attraverso questi, lui ed altri allievi erano venuti a conoscenza di un’innovativa attività artistica internazionale, animata dalla gallerista-artista Fiamma Vigo – oggi riconosciuta sacerdotessa di un modernismo spaziante tra arte e design – che prendeva le mosse dal Bauhaus, transitando per Enrico Prampolini e l’Art Club. A rafforzare gli entusiasmi in quella direzione aveva poi contribuito in Maurizi l’incontro con Ivo Pannaggi – non “professore” ma riconosciuto “maestro” di modernità, sia nei linguaggi dell’arte sia nell’architettura e nel design – In alcune opere di Maurizi c’è traccia consistente di una concezione di “arte applicata” che al gusto estetico unisce la funzionalità delle forme; una fusione di tecniche e generi debordante, appunto, verso il design e, occasionalmente, nella ricerca di Maurizi, verso una scultura sintetica ma, seppur stilizzata, più prossima alla figura di quanto non appaia la pittura. Infine la componente concettuale, ancora più evidente in opere recenti di grande formato che tendono a costituire “racconto” e “diario” dell’intero percorso esistenziale e creativo. Retaggio di una formazione che l’esperienza, anche professionale, ha mano a mano arricchito di temi e configurato in una sempre più nitida identità poetica, oltre che linguistica.
È interessante imbattersi in una mostra che offra tutto questo costituendo al tempo stesso il bilancio di un lungo periodo di ricerca e di vita; un racconto ricostruito per immagini forme e colori che sono sì riflesso di anni, ma anche di brevi stati d’animo e sensazioni empaticamente vissute.
Un’occasione da godere, che solo chi ha in serbo una storia di passioni intrecciata con l’arte è in grado di offrire.

Lucio Del Gobbo


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